Marina Legovini è nata a Monfalcone (Gorizia) nel 1959. Si diploma all'Istituto Statale d'Arte Max Fabiani di Gorizia nel 1978 e fonda la Cooperativa di Ceramica "La Felce". Espone giovanissima alla Galleria Il Torchio di Gorizia con l’opera selezionata al concorso “Mini Quadro” e a Viareggio consegue il secondo premio per la grafica d’arte.
Dal 1984 frequenta e lavora presso la Scuola Internazionale di Grafica a Venezia. Partecipa a mostre internazionali a Roma, Parigi, San Paolo del Brasile. Frequenta ad Urbino il laboratorio d'incisione calcografica imparando la tecnica del bulino per illustrare il prestigioso libro “Quajaruladis” ultima opera dello scrittore Bruno Patuna, fondatore della prestigiosa Galleria Regionale Luigi Spazzapan, il volume è realizzato interamente a mano in tiratura limitata.
Nel 1989 apre la bottega d'arte "Creattività" ed entra a far parte del Consorzio Regionale per la valorizzazione dell'artigianato artistico del Friuli Venezia Giulia nel mondo. Segue i corsi di ceramica a Faenza con il maestro Emidio Galassi. L'opera "Melusina" è selezionata dall'architetto Ugo la Pietra qualificandosi al Concorso Internazionale "L'Oggetto Neoeclettico" Verona "Abitare il Tempo" 1993. Collabora a Milano con l'architetto Ugo la Pietra per il progetto "Miramare" e a Roma con l’interior design Marika Carniti Bollea, per la quale realizza la lampada prototipo in ceramica “Diadema”. Dal 2002 collabora con l’interior design “Studio Menon”.
Dal 2011 è presidente dell’Associazione Culturale “La Corte dell’Arte - Spazio Alba Gurtner” dove insegna nei laboratori artistici di pittura, ceramica e incisione calcografica.
Dal 2018 conduce un laboratorio di ceramica per persone diversamente abili presso l’Istituto dei padri Trinitari a Medea.
Partecipa attivamente a workshop e concorsi d’arte, dove la sua opera è selezionata e premiata.
Sul suo sito www.marinalegovini.it conserva testimonianza di tutta la sua attività e della produzione artistica, immagini delle opere e scritti ad esse dedicate.
Marina Legovini ha iniziato a dipingere i paesaggi su tela, dopo una serie di acquerelli en plein air, lungo le sponde dell'Isonzo sloveno e del Bacia proseguendo nel Giardino Viatori e nella Laguna di Grado. Si pensa che l’acquerello altro non è che lo scorrere del colore e dell’acqua sul foglio bianco. Ma vi è, tuttavia, un significato ben più profondo, nel gesto dell’artista che nel riflesso dimostra la capacità di cogliere l’essenza di quell’istante di luce. Come il poeta interviene con le parole e ne fa poesia gli acquerelli di Marina Legovini sono racconti pittorici intimi che guardano all’essenza del luogo. Tutte le opere, puntano a ghermire e imprigionare i colori, le atmosfere,l’attimo di un istante di luce. Un risultato che oltre alla perizia dell’artista, sublima il suo rapporto diretto con il paesaggio, in un dialogo fra anima e natura. Belli e intensi gli acquerelli dedicati al “Giardino Viatori”, intrecci di colori e di sfaccettature, innumerevoli e cangianti delle magnolie riflesse nell’acqua, definite con piccole pennellate poetiche in un'insieme variopinto e idilliaco, intimo e raccolto. E' invece la forza della natura, dei colori del Carso e della Laguna di Grado, che rende unici le finestre su un paesaggio di un territorio nel quale si fondono le tavolozze più ardite, intrise di rossi, verdi gialli e mille sfumature di blu del mare. Fonte di ispirazione per uno scenario ricchissimo di colori in continuo mutamento, gli acquerelli sapientemente dosati, catturano lo spettatore invitandolo a scoprire nei dettagli la magia del colore. A tratti l’acqua corre per poi rallentare e, quasi a comando delinea arbusti e barene fra lo stridio degli uccelli in volo. Si fa lenta sulla battigia, dove i bagnanti sostano mollemente adagiati, oppure attenti al calar della marea, nel catturare qualche piccolo abitante del mare fra le conchiglie e le piume portate dal vento.
I paesaggi su tela, sono invece, il proseguo naturale ed emotivo degli acquerelli. L’artista coglie un particolare dei suoi acquerelli per trasporli sulla tela fra colate ramificate di colore e di gesti decisi dalla pennellata informale. Un lento procedere dunque, fra i meandri della vita, come le colate che si insinuano fra le pieghe della tela. La tela preparata con opportune irregolarità, induce il colore a percorsi accidentati e se opportunamente orientata, distribuisce il colore lentamente creando effetti immaginifici.
Sulla tela bianca un nitido segno di matita delinea, senza pentimenti, i contorni della figura femminile. L’icona si sostanzia con le prime ombreggiature, acquista rilievo per il depositarsi dello sfondo attorno al profilo del corpo. La figura lievita e la sua trasparenza si esalta in contrasto con la diversa consistenza dei sedimenti irregolarmente addensati attorno ai contorni. Sembrano i detriti di un’onda che, dopo aver investito la figura di donna, si ritirano fissandosi come ombra simbolica per rivelarne le pulsioni più intime sostanziando, per contrasto luministico, il corpo.
Frammenti di volti, accenni naturalistici, segni organizzati in funzione decorativa formano una fitta trama, una sorta di palinsesto che emerge baluginante da sotto lo strato della pennellata colante mentre la donna di Un’altra da me avanza a capo chino. Nella tela raffigurante Un amore tutto mio, la stessa figura femminile viene esaltata dalla luminosità dello sfondo incontaminato e i tratti del volto in penombra si precisano rivelando il dolore lacerante della separazione e la gioia sconfinata che accompagnano la nascita di una nuova vita. Come in un caleidoscopio le immagini della donna offesa ed umiliata che coraggiosamente leva le braccia al cielo proclamando Sono viva, si alternano alla sognante riflessione del Dopo ed al languido momento del Risveglio. Ma nelle chiare tele di Marina Legovini ritroviamo anche trepidanti riflessioni sull’infanzia da proteggere, risolte pittoricamente con un braccio quasi invisibile che sorregge i Bambini per salvaguardarne il diritto alla spensieratezza e alla serenità. Un diritto che si spezza nel racconto della Sposa, dove la lievità del tessuto pittorico è come un velo di pianto posato sul tragico destino di una bimba. Vite infrante di cui si deve sapere per crescere, per salvaguardare il sé dell’anima e del corpo femminile, per dare sostanza alla delicata evanescenza di chi, come Martina, si affaccia alla vita.
Annalia Delneri
Una volta le chiamavano “mani d’oro”.Con mani così,tenacia e pazienza da artigiano di gran qualità, sete di bellezza, estro e fantasia, com’era prevedibile Marina Legovini ha sfondato il sottile diaframma che separa l’arte applicata dall’arte così detta “pura”,cioè senza fini pratici,lasciando che reciprocamente l’una dia nutrimento all’altra. Dai forni dei laboratori di Calle Corona in Gradisca d’Isonzo ecco dunque uscire a getto continuo smaglianti piatti di ceramica più adatti a decorare una parete che a contenere frutta e biscotti, e grandi vasi dal corpo perfetto che tutt’al più potrebbero reggere una rosa, ma indubbiamente vanno guardati come sculture.
Nati come ricerca di forma assoluta,non richiedono altri fronzoli perché bastano a sé stessi e vogliono essere semplicemente guardati. Tanta tensione di bellezza, di perfezione, ha siglato anche le tele dipinte da Marina, facendo coincidere il suo fare arte con i modi di molte artiste, ieri trascurate e oggi continuo oggetto di studio, cioè un procedere che conquista la superficie del quadro millimetro dopo millimetro, con metodo, nitore, senza pentimenti, seguendo più che il gusto della sperimentazione un intimo progetto di conoscenza delle cose , indagate con la curiosità assorta di un bambino che penetra in ogni dettaglio e lo memorizza come evento magico.
Non sorprende dunque il suggestivo richiamo a Giorgia O’Keefe e della sua opera su Marina che ha riconosciuto fin da quando si è incamminata nel mondo dell’arte un profondo legame con questa artista. La conobbe vent’anni fa attraverso una monografia, se ne innamorò, più tardi andò negli Stati Uniti per conoscere la sua opera da vicino. Personalmente ritengo importante per un’artista eleggersi un maestro per affinità profonde e non per frequentazione, meglio riconoscerlo nel passato per l’aurea mitica che il tempo addensa attorno a queste figure,per qui echi e rimandi raggiungono modulazioni complesse ed inattese.
Ed è allora possibile creare mondi curiosi in cui uno spirito del passato si rivesti in uno del presente dando l’avvio all’ibridazione e la metamorfosi delle forme. Ecco dunque i gigli, le calle, le rose, i fiori di magnolia di Marina sembrano generati dalle terse atmosfere dalle quali emergono,sostanziate dalla medesima materia , e talvolta assumono connotati zoomorfi senza denunciare traumi oscuri, ma piuttosto con la naturalezza e l’allegria di chi vive serenamente il proprio segno alla luce degli affetti. Il senso dell’armonia, di agio psicologico che emana dai quadri di fiori di Marina ci parla di come sia stato accolto il messaggio di Georgia O’Keefe attraverso l’etere,di come sia stato rielaborato da una benevola vocazione alla vita’ di come ne sia stata espulsa l’angoscia’ di come una sessualità vissuta con difficoltà da una donna d’altri tempi si possa riposare nel grembo della natura filtrando attraverso un’esperienza positiva pienamente vissuta nel presente.
Dora Bassi
Curriculum e Biografia di Marina Legovini:
1978
1984
1985
1986
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2010
2011
2012
2016
2017
2019
2020
2021
2022